Accordi indispensabilmente inutili

La notizia del raggiunto accordo tra i Governi dei paesi ONU sui nuovi Obiettivi di Sviluppo del Millennio, è di certo propiziatoria di un’auspicata quanto necessaria inversione di rotta nel lungo cammino per sconfiggere fame e povertà. Da decenni, infatti, la comunità internazionale si dice pronta e volonterosa di eliminare dalla faccia del pianeta miseria, fame, malattie e quant’altro impedisce il godimento dei diritti umani più fondamentali a un quinto dell’umanità, perlopiù concentrata nei Paesi impoveriti dei Sud del mondo. Purtroppo, ancora oggi gli indicatori registrati dagli istituti e dagli organismi internazionali segnano drammaticamente quanto ancora tutto ciò resti relegato nell’ambito delle buone intenzioni piuttosto che nei dati di fatto.

Tuttavia, dichiarazioni di impegno e accordi formalmente siglati restano passi indispensabili almeno nella misura in cui costituiscono punti di riferimento e stelle polari ai quali tendere e nei confronti dei quali richiamare alla responsabilità i troppi evasori delle regole comunemente fissate. Non sarebbe possibile, in assenza di questi, esercitare la pressione con la quale sin dall’inizio di questa sfida la società civile internazionale interviene nelle assise globali giocando il proprio ruolo di coscienza critica e di avvocatura dei più deboli, né assistere alla lenta ma progressiva presa di coscienza della opinione pubblica nei confronti delle condivise responsabilità dei destini dell’umanità. Non va infatti sottostimato il fatto che anche l’accordo raggiunto sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile qualche giorno fa a New York e che verrà formalmente adottato nella Assemblea Generale Onu di fine settembre preveda l’adesione degli Stati membri “su base volontaria”. Come dire, cioè, che la loro applicazione e la coerenza politica con quanto previsto dal Piano di azione relativo sarà ancora una volta lasciato alla buona volontà o alla discrezione dei Governi nazionali dei singoli Paesi. Così come non si può sottovalutare l’importanza che su un altro fronte caldo dei negoziati globali, quello relativo alla lotta ai cambiamenti climatici che vedrà un qualche epilogo nella Conferenza parigina di dicembre di quest’anno, hanno segnato i recenti pronunciamenti del Presidente Obama impegnatosi a ridurre l’impatto inquinante degli USA del 30% da qui al 2030. Certo, ancora una volta solo una beata ingenuità potrebbe portare a non ricordare come tali importanti e dolorosi impegni vengano assunti alla fine del secondo mandato presidenziale del Presidente statunitense, ovvero in un periodo vissuto in assenza di pressione per un rinnovo elettorale, eppure anche in questo caso ritengo decisivo il passo compiuto da Washington non fosse altro che per l’eredità e la conseguente pressione che eserciterà su chi nei prossimi anni siederà alla Casa Bianca.

Questo 2015 sarà ricordato come un anno decisivo per la comunità internazionale e per il futuro del pianeta. Vedremo se lo sarà per aver segnato un cambio di paradigma e una nuova direzione assunta dai decisori politici globali oppure se non andrà che allungare la lunghissima lista di date ricordate dalla storia delle relazioni e della cooperazione internazionale come occasioni perse e quali manifestazione della immutabile prevalenza degli interessi immediati e particolari sui diritti umani e la giustizia globale.

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