La Shell condannata al risarcimento

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Ci sono voluti sei lunghi anni, ma alla fine le popolazioni del Delta del Niger hanno vinto la causa intentata contro la Shell petroli per due gravissimi episodi di inquinamento dei loro terreni dovuti a fuoriuscita di petrolio dagli oleodotti della compagnia petrolifera.

Era il 2009 quando 15.600 pescatori locali, avvalendosi dello studio legale Leigh Day, avevano avviato una causa contro la multinazionale Royal Dutch Shell per aver devastato il territorio con uno dei più grandi sversamenti di petrolio mai registrati nella storia. Oggi, ognuno di loro sarà risarcito con 3.300 dollari, una cifra considerevole se rapportata al reddito medio pro capite di questa regione, che Shell dovrà versare a risarcimento dei danni provocati. Tuttavia, a ragione, le organizzazioni della società civile locale ribadiscono come a fronte di questa importantissima vittoria legale e dell’innegabile impatto economico di questa condanna, i danni derivati dall’inquinamento di migliaia di ettari di foreste di mangrovie che popolano le zone costiere della regione, la parte sud della Ogoniland, vanno ben oltre e perdureranno nel tempo. Da qui, l’annuncio fatto in contemporanea con la sentenza pronunciata contro Shell da parte delle principali organizzazioni locali, che altre cause saranno intentate per i continui e ripetuti atti di devastazione ambientale e sociale provocati no solo dalla compagnia olandese, ma da tutte le imprese petrolifere presenti nel Delta del Niger.

Questa condanna assume sicuramente un valore al di la della sua applicazione. Innanzitutto perché costituisce un precedente inedito utilizzabile per le altre situazioni analoghe registrate in questa come in altre regioni del pianeta. A nulla, infatti, sono valse le motivazioni addotte dalla difesa di Shell che avrebbe voluto imputare ai furti di petrolio dai propri oleodotti perpetrati dalla popolazione locale, dovendo accettare una sentenza che, al contrario, attribuisce tutta la responsabilità alla compagnia petrolifera. In secondo luogo, in quanto la sentenza emanata ha impedito che Shell ottenesse, come in altre circostanze, di risolvere la questione mediante risarcimenti individuali inizialmente esperiti proponendo un risarcimento complessivo di poco più di 6.000 dollari. Infine, perché ogni atto giudiziario ottenuto nei confronti delle multinazionali colluse con i governi locali che traggono miliardari profitti da azioni condotte in palese violazione dei diritti umani costituiscono pietre miliari nella ricomposizione di un regime di diritto internazionale fondato sulla giustizia e sule rispetto di tutte le persone.

Chissà se anche questo episodio increscioso contribuirà a condurre la comunità internazionale a dotarsi di codici e norme vincolanti per le imprese estrattive che, ad oggi, conducono le loro attività lecite ed illecite senza alcuna responsabilità nei confronti delle popolazioni locali e senza che alcuna autorità abbia gli strumenti e la volontà di regolamentarne le azioni.

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