I G8 sostengano l’agricoltura familiare
Lanciata nel 2012, la New Alliance for Food Security and Nutrition veniva proposta come soluzione efficace per strappare dalla povertà 50 milioni di persone in 10 anni. Con il coinvolgimento di nuovi attori, settore privato in testa, in vista di una larga mobilitazione di risorse intellettuali e soprattutto economiche da riversare nello sviluppo agricolo, l’Alleanza inizialmente creata tra i governi dei G8 con l’Unione Europea si proponeva l’obiettivo di far convergere investimenti per sostenere uno sviluppo agricolo sostenuto e inclusivo basato su di un modello localmente orientato a vantaggio e con il contributo dei piccoli agricoltori locali.
A circa due anni di distanza, anni caratterizzati da forti e manifeste contestazioni da parte di numerose organizzazioni di società civile di tutto il mondo, un nuovo appello firmato da oltre 80 organizzazioni è stato indirizzato ai governi promotori con il quale si invitano i protagonisti di questa iniziativa a rivedere impegni e strategie che ad oggi altro non hanno dimostrato altro che un orientamento teso a favorire gli interventi e i tornaconti dei soggetti dell’agrobusiness partner, piuttosto che favorire e incentivare le attività e il lavoro delle piccole aziende a conduzione familiare.
In questo 2014, che ricordiamo le Nazioni Unite hanno voluto quale Anno Internazionale dell’Agricoltura Familiare, la distanza e l’incoerenza tra obiettivi fissati e risultati conseguiti dalla New Alliance for Food and Nutrition, ha portato i firmatari dell’appello a rivolgersi nuovamente ai G8 per chiedere che il destino dei piccoli agricoltori, veri protagonisti e unica speranza per un futuro liberato dallo scandalo della fame e dalla schiavitù della miseria, sia posto al centro delle loro politiche e unica finalità delle loro azioni. Più del 70% della produzione alimentare globale ancora oggi dipende dal lavoro e dai risultati delle piccole aziende agricole a conduzione familiare e la possibilità di garantire a tutti il diritto fondamentale al cibo in qualità e quantità sufficienti legato ai destini di questi piccoli produttori. Lo sviluppo dei mercati locali, una ricerca orientata ai loro bisogni, politiche di sostegno alle loro attività e, soprattutto, azioni radicate nel rispetto dei diritti umani che sanno subordinare la ricerca del profitto alla coerenza con i diritti di tutti sono la via invocata per mettere fine allo sfruttamento di risorse naturali e umane per il vantaggio di pochi.
Lo si richiede per motivi etici, ma sempre più a fronte dell’evidenza di come scelte orientate allo sviluppo di una agricoltura intensiva, concentrata nelle mani di poche multinazionali, votata all’export e ai mercati globali non solo non stanno producendo i risultati previsti, ma stanno rapidamente portando il pianeta e le sue risorse al collasso. Pregiudicando il destino di milioni di poveri e, vale la pena ricordarlo, prima o poi anche quello dei pochi privilegiati che oggi ne traggono momentaneo beneficio.
(articolo pubblicato su Repubblica.it)