Caso Rossella Urru: le becere polemiche de “Il Giornale”

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“Quei cooperanti in cerca di guai”. Con questo titolo, dalle colonne dell’edizione odierna de “Il Giornale” il giornalista Gian Micalessin apostrofa l’irresponsabilità dei “capi” di Rossella Urru , cooperante della ONG CISP rapita il 22 ottobre scorso mentre svolgeva il proprio lavoro nei campi profughi in Algeria. Ogni scritto che si addentra ad analizzare e riflettere sul complicatissimo esercizio della responsabilità dei dirigenti delle organizzazioni umanitarie allorquando si trovano a decidere della permanenza del personale espatriato in situazioni “a rischio” nelle zone di crisi ha il valore di non far mai abbassare la guardia su un tema di tale delicatezza e difficoltà. Ma questo vale solo a condizione che i toni, i linguaggi e soprattutto le soluzioni proposte non scadano nella polemica sterile e nel semplicismo ottuso.

I volontari e cooperanti delle ONG impegnate in operazioni umanitarie, e quindi i loro dirigenti, sono preparati e formati ad hoc per affrontare queste situazioni, e coscienti dei rischi a cui vanno incontro nell’esercizio della missione fondamentale alla quale sono chiamati a prestare il loro servizio: assistere le vittime della violenza, della guerra e del terrorismo senza discriminazioni né scelte di parte.

Non avevamo bisogno di Micalessin per sapere delle collusioni di alcune frange del Fronte Polisario con i terroristi di Al Quaida; né de Il Giornale per scoprire le infiltrazioni di armi nei campi profughi. Tuttavia è proprio in situazioni come queste che si rende ancora più necessaria la presenza di operatori umanitari stranieri, proprio per non abbandonare alla loro sorte le popolazioni già vittime della violenza e della criminalità, oltre che delle condizioni disumane in cui vivono i profughi e i rifugiati nei campi istallati ai quattro angoli del mondo. Ed è in virtù di ciò che ribadisco la mia ferma convinzione che sia doveroso sostenere, come cittadini e come Paese, l’operato dei nostri volontari e cooperanti impegnati nelle operazioni umanitarie come nelle attività preventive di cooperazione allo sviluppo, di tutela e promozione dei diritti umani, di lotta alla fame e alla povertà.

Del resto, forse Micalessin si è distratto nello scrivere, è quello che continuamente si fa nel caso dei militari italiani all’estero impegnati nelle cosiddette “missioni di pace”. A nessuno, tanto meno a me, verrebbe in mente di polemizzare come fa il giornalista su chi deve pagare il conto, alquanto salato, della loro presenza in scenari simili a quelli dove operava Rossella. Proporre, come fa Micalessin, di accollare i costi della liberazione della Urru ai “capi che l’hanno inviata nella tana del lupo”, paragonando il suo impegno a quello “degli alpinisti imprudenti chiamati a risarcire il costo dei soccorsi”, è sintomo di voglia di polemica strumentale e becera. A meno che, in coerenza con la tesi di Micalessin, non si intenda chiedere ai Generali delle nostre forze armate di decurtarsi lo stipendio per sostenere i  costi di quanto si fa per salvare la vita dei militari che i “capi” del nostro Paese inviano nelle tante “tane del lupo” che drammaticamente si contano in giro per il mondo.

(Articolo pubblicato su Repubblica.it)

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