Cancun: un accordo finale, meglio del nulla

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Ad eccezione del capo negoziatore Boliviano, Pablo Solon, alla fine a Cancun i 194 Paesi partecipanti alla 16° conferenza ONU sui cambiamenti climatici hanno approvato il documento finale proposto dalla Presidente della Conferenza e Cancelliere messicana Patricia Epsinosa. Sicuramente va dato a lei buona parte del merito di questa conclusione: senza la sua tenacia e la sua capacità di convincimento dei Governi presenti presi ad uno ad uno, la COP 16 sarebbe stata un secondo flop ad un anno da quello di Copenaghen. La bocciatura da parte della Bolivia, che per tutta la durata della Conferenza ha sostenuto la posizione più intransigente, pur prevedibile nei contenuti, ha di certo fatto scalpore per il modo eclatante con cui è stata comunicata in plenaria.

A mio parere, nonostante la mediazione fatta al fine di rinviare molte delle decisioni concrete a ulteriori negoziati che proseguiranno in preparazione del prossimo appuntamento previsto a dicembre del 2011 in Sud Africa a Durban, vanno riconosciuti i passi in avanti compiuti rispetto a Copenaghen e, soprattutto, si deve tirare un sospiro di sollievo per lo scampato rischio di un altro nulla di fatto.

I 30 miliardi confermati per la cosiddetta “fast start”, la fase di avvio delle prime azioni immediate, i 100 miliardi all’anno da stanziare da qui al 2020 per le iniziative a medio termine di adattamento nei Paesi in Via di Sviluppo e la creazione di un “green fund”, il fondo verde per sostenere lo sfruttamento delle energie rinnovabili, sono buoni presupposti per le scelte e gli accordi futuri. Tuttavia ritengo ancor più positiva la decisione di proseguire nel perseguimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto oltre la scadenza del 2012. A Copenaghen, infatti, l’opposizione di alcuni Paesi “grandi inquinatori”, come Giappone, Russia e Canada, che avallava la non ratifica del Protocollo da parte degli USA, e l’immobilismo di Cina e India che utilizzavano strumentalmente la refrattarietà americana pur di non compromettersi con gli obiettivi di mitigazione fissati a Kyoto,  avevano spento ogni speranza.

Certo non sto commentando un successo all’altezza delle aspettative e delle necessità. Per limitare il surriscaldamento globale a soli 2° centigradi e, di conseguenza ridurre le emissioni di gas serra del 40% entro il 2020 e dell’80% entro il 2050, il pianeta necessiterebbe di ben altro. Ciò che imporrebbe la ragione e la responsabilità a chi governa il mondo al fine di garantire un futuro sostenibile, è molto più di quanto stipulato a Cancun. Sicuramente, servirebbe rendere vincolanti, cosa non prevista nell’accordo finale di Cancun,  gli impegni assunti e le promesse fatte, sia nelle quantità che nei tempi di attuazione fissati. Già nei prossimi mesi si potrà vedere se i tagli alle emissioni nocive, che dovranno scendere di percentuali tra il 25 e il 40% prima del 2020, saranno effettuati o se rimarranno solo buone intenzioni e se le risorse promesse si tramuteranno in soldi veri. A Durban, fra un anno, si potrà iniziare a tirare le somme e giudicare se non fosse stato meglio dar ragione alla Bolivia.  Ciò che preoccupa è che, intanto, il pianeta continuerà piano piano a morire.

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